Formazione continua per operatori in ambito psichiatrico, psicoterapico, psicologico, psico-sociale e socio-psichiatrico

Organizzata dal Centro Clinico Indipendenza di Bellinzona

in collaborazione con

l’Accademia di psicoanalisi clinica e applicata (APCA) di Bellinzona

Anno accademico 2015-2016

Lezione del 27 luglio 2015

(Sintesi)

La lezione è stata introdotta/preceduta alcune nozioni fondamentali riguardo alcuni concetti e rimandi teorici della clinica lacaniana. In particolare:

i tre registri del Reale, del Simbolico e dell’Immaginario
la specificità e le peculiarità dell’approccio lacaniano nel campo della clinica delle psicosi
la nozione di struttura e le declinazioni di psicosi, nevrosi e perversione
gli sviluppi della psicoanalisi post freudiana grazie al contributo degli studi di Lacan e, più in particolare, nell’ambito delle psicosi
Nel corso della presentazione è poi stato illustrato il Caso Schreber con le declinazioni e l’inquadramento/contributo offerto dal pensiero, dai concetti e dall’insegnamento di Lacan.

Il lingua ha una funzione essenziale nel processo di identificazione e soggettivazione di ognuno di noi. Lacan ci ricorda infatti che “l’inconscio è strutturato come un linguaggio”. È appunto questo processo di identificazione e soggettivazione che permette al singolo di situarsi nell’ordine simbolico, elemento ineludibile e centrale nel percorso evolutivo che lo abiliterà in quanto Soggetto.

La prima forma organizzata di questo processo di costituzione soggettiva proposta dallo psicoanalista Jacques Lacan è lo Stadio dello specchio. Il bambino, infans, ancora immaturo per ciò che riguarda la percezione della sua unità, in questa fase si appropria infatti dell’immagine unitaria di se stesso. Una figura, questa, che si rappresenta per lui come una immagine ideale di se stesso e che lo stupisce, lo meraviglia e lo conferma nel suo percorso di completamento e soggettivazione. Allo stesso tempo, però, questa immagine si conferma anche come irraggiungibile, mai completamente integrabile e assimilabile ma comunque un’immagine guida alla quale egli potrà e vorrà sempre e comunque, per il seguito, identificarsi.

L’elemento fondamentale, costitutivo e fondante che in questa lezione vogliamo approcciare rappresenta pertanto il principio ordinatore dell’Altro (il grande Altro, A) che organizza il mondo immaginario del Soggetto e che fornisce le regole e i limiti di cui questo ha bisogno. Questo Altro ha però le sue leggi proprie che Lacan, riprendendo le ricerche dei linguisti Ferdinand de Saussure e Roman Jakobson, ha poi sviluppano e approfondito come le leggi stesse del significante (S).

Lacan ci insegna che il significate (S) è autonomo e prevale sul significato (s) attraverso la barra che li separa e che – nell’algebra lacaniana – si articolano nell’algoritmo S/s.

Ecco allora che in tal modo, attraverso le relazioni che il significante intrattiene sopra la barra dell’algoritmo S/s, Lacan sviluppa la nozione linguistica di catena significante il cui motore è rappresentato dai due concetti mutuati dalla linguistica (e che Lacan fa propri), e cioè la metafora e la metonimia.

Pertanto se una parola, nella sua definizione, rinvia ad altre parole che, a loro volta, rinviano ad altre parole – e ciò ci dà la struttura sincronica del linguaggio – allora nessuna realtà esterna a questo linguaggio sarà in grado di darne significazione. Contrariamente al segno, infatti, il significante non è un messaggio. Ne consegue pertanto che non vi è significante che si significa per se stesso.

Ma, allora, cosa e come sarà mai possibile interrompere il processo di significazione se – come suggerisce Lacan – “a condizione di parlare sufficientemente a lungo è impossibile far si di riuscire a far significare una qualsiasi cosa a qualsiasi parola”?

Se vi è sempre, attraverso la lingua, una parola che manca per chiudere la catena significante, ciò che permetterà di porre fine, arrestare, fermare il processo non sarà dunque mai un significante ultimo che si identificherebbe in tal modo nella sua significazione, ma una funzione che Lacan – riprendendo Freud – chiama la funziona paterna.

È il Nome-del-padre che, grazie alla sua funzione operativa, elide quello che chiamiamo il Desiderio della madre e che permetterà di infine chiudere un ordine di significazione grazie alla sua significazione fallica.

Questo principio organizzatore (Il-Nome-del-padre) rappresenta pertanto la chiave della significazione a partire dal quale il mondo incoerente e caotico originario del bambino – fuso con la madre – comincerà allora ad assumere un ordine e un senso condiviso, intellegibile.

Questo Nome-del-padre rappresenta dunque una pure funzione logica, al contempo significante nell’Altro e significante dell’Altro (Altro originario costitutivo della madre … in origine).

Questa funzione logica (Nome-del-padre) rappresenta allora l’iscrizione della Legge fondamentale che supporta le leggi dello scambio simbolico, delle generazioni, del riconoscimento del soggetto come sessuato e iscritto nell’ordine della vita di relazione simbolica sull’arco costitutivo dell’esistenza di ognuno.

Nella linea del discorso freudiano Lacan riconosce infatti che è in rapporto al fallo (nella sua accezione simbolica) che i due sessi si devono confrontare e orientare.

Lacan qui ha riformulato ciò in maniera sorprendente, verso la fine del suo insegnamento, affermando che “La femme n’existe pas” (con grande “scandalo” delle femministe e di parte degli intellettuali engagées dell’epoca, digiuni di psicoanalisi).

In altre parole Lacan sintetizza così il concetto secondo il quale è propriamente a partire da questo rapporto rispetto all’istituzione fondante del Nome-del-padre – con il suo effetto di significazione fallica – che necessariamente corrisponde quello che di fatto e logicamente non può che essere definita come forclusione del nome de La Donna.

Il Nome-del-padre, in effetti, è il corrispondente simbolico di una mancanza (l’impossibilità logica di nominare ciò che manca nell’Altro de La Donna), anche se ciò non satura nondimento ciò che manca a questo Altro, mancanza a dire, mancanza logica: cioè, il godimento.

Il Nome-del-padre avendo in definitiva la funzione di separare il soggetto dal godimento.dell’Altro, permettendo così la sua soggettivazione.

Ecco che a questo punto entriamo allora nel cuore della questione che qui ci interessa, e cioè la psicosi o, meglio, l’Altro della e nella psicosi!

A questo fine Lacan introduce allora il concetto di Forclusione del Nome-del-Padre per spiegare gli effetti sul soggetto della disregolazione della catena significante che si manifesta nei fenomeni clinici tipici della psicosi.

La forclusione del Nome-del-padre è allora l’assenza radicale di questa funzione che significantizza, trasforma in desiderio – portato e supportato dalla catena del significante – l’oscura volontà dell’Altro. L’Altro restando il luogo senza regole di una volontà che sottomette il soggetto ai capricci di un godimento contro il quale egli non ha difese. Pertanto nel caso in cui un soggetto fosse privo di questo referente simbolico fondante e originario e, nel corso della sua esistenza, fosse allora chiamato a occupare un posto puramente simbolico tutelato e garantito dalla funzione paterna (incontro sessuale, assunzione del proprio nome in una relazione sociale, servizio militare, fidanzamento, paternità, ecc.) egli si troverebbe allora incapace di affrontare questa chiamata, poiché in tal caso alla chiamata del simbolico paterno farebbe eco solo il vuoto, il non senso, il panico psicotico, e il delirio che cercherà di colmare il vuoto di senso. Questo momento critico dello scatenamento psicotico corrisponde alla dissoluzione del trepiede immaginario che permetteva fino a quel momento al soggetto di occupare un posto nella sua vita.

Da un punto di vista clinico questa situazione di scatenamento psicotico legato a un incontro particolare del soggetto è ti tipo congiunturale e può aver luogo in qualsiasi momento della sua vita: tuttavia esso è più frequente, proprio a causa delle sollecitazioni che vi sono collegate, nel corso dell’inizio dell’età adulta, cioè nel momento in cui il soggetto lascia l’ambiente protetto della sua famiglia.

Questo scatenamento psicotico lascia allora il soggetto aperto e offerto all’intrusione catastrofica di un Altro, il godimento del quale – a causa dell’assenza nel soggetto della significazione fallica facente seguito alla forclusione – è allora assolutamente sregolata, caotica, angosciante, destrutturante. La volontà di godimento iscritta nell’Altro fa allora la sua intrusione nel soggetto o, meglio, si impossessa del soggetto: è ciò che Lacan esprime bene nella formulazione “Ce qui est forclos du symbolique fait retour dans le réel”.

Dr. med. Orlando Del Don – blog

Accademia di psicoanalisi clinica e applicata (APCA)